In occasione dei Novecento anni di storia del libero Comune di Arezzo e del millennio della nascita di Guido Monaco abbiamo avuto la preziosa occasione di collocare alcune delle sculture più geniali di Andrea Roggi nella pregevole Sala del Sottochiesa di S. Francesco ad Arezzo, eccezionalmente concessa dalla Soprintendenza ai Beni A.A.A. di Arezzo. L’importante appuntamento artistico e creativo era dedicato all’arte contemporanea in terra di Arezzo.
La Mostra organizzata con il Patrocinio ed il Contributo del Comune e della Provincia di Arezzo e stata inaugurata dal Direttore e dell’Assessorato alla Cultura del Comune, giovedì 22 ottobre 1998. Fu proprio in quell’occasione che incoraggiammo Andrea nel suo straordinario lavoro di modellatura in creta del volto raffigurante il ”grande Roberto”, compaesano di Manciano; il genio Michelangiolesco di Andrea già progettava la realizzazione di una grande statua in bronzo da collocare nel suo paese! Nell’occasione dei solenni festeggiamenti per l’importante ricorrenza, il Comune di Arezzo aveva più volte invitato Roberto Benigni, ma in quel periodo il noto attore era impegnato in un lungo tour negli Stati Uniti per promuovere il suo film: ”LA VITA E’ BELLA”.
Ma intanto la testa di Benigni, opera scultorea di Andrea Roggi, aveva conquistato le cronache delle televisioni locali e dei giornali, ma soprattutto la simpatia della gente… La costanza e il carattere indomabile di Andrea ottengono i primi successi! Nascono dalla sua abilita i primi bozzetti della Statua e le numerose prove in gesso… Intanto Roberto conquista l’Oscar, il sorriso e la simpatia di tutto il mondo; finalmente nei primi giorni del mese di maggio ’99 viene alla luce dal crogiolo di una nota fonderia artistica locale, la formidabile statua bronzea dedicata a Roberto Benigni.
Andrea Roggi e ancora giovane, toscano, nasce a Castiglion Fiorentino di Arezzo nel 1962. Ha iniziato a dipingere nel 1977, il passaggio alla scultura e stato graduale, ma fin dagli inizi egli preferiva dare una configurazione spaziale alle sue pitture.
Non appartiene a nessuna scuola, come ogni artista consapevole conosce molto bene le correnti contemporanee, ma e affascinato dalla figura, dall’uomo. Dalle sue opere assieme ad una forte plasticità, emana un’atmosfera rarefatta, come se appartenessero ad un mondo conosciuto e insieme misterioso. Questa a noi sembra essere l’arte vera, che non e arni mestiere, anche se si avvale dell’affinamento della tecnica.
L’arte e emozione che diviene messaggio e dunque in qualche modo razionalità. Non quella fredda del filosofo o quella un po’ noiosa del moralista. La razionalità dell’arte consiste nel comunicare uno stato d’animo che coglie, a suo modo, la complessità del reale e la trasmette a chi guarda un’opera. Una razionalità emozionale che non e solo vibrazione interiore, ma anche comprensione del mistero della vita.
Andrea Roggi e entrato in questo corto circuito artistico; egli riesce a infondere nelle sue opere una forza espressiva e un fascino di forme che si trasmettono con immediatezza a chi le ammira. La lunga tradizione formale che appartiene all’arte toscana, da Cimabue sino ad oggi si fa manifesta anche in lui. Le sue sono forme finite, comunicative e di immediata percezione. Che poi contengano un diffuso senso di mistero, questo e il segno inconfondibile della sua genialità.
ANDRE ROGGI E MARTIN KATZ
ENERGIA DELLA VITA FIRENZE





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Dare vita alla materia inerte e un esercizio divino, che attrae e intriga da sempre ogni artista scultore. E il richiamo di una genesi che ha lasciato i suoi segni nel cuore delle cellule più profonde.
E un modo come un altro per ricordarci che siamo tutti in fondo il prodotto di un impasto strano, un insieme pazzo di fango e stelle. E per questo che cosi, in quel disperato tentativo di manipolare la materia, c’e un atto di grande ribellione. Non ci si arrende a ciò che è fatto, finito, compiuto, e si vorrebbe ridisegnare se stessi, far esplodere nell’universo che sovrasta la pelle, le mille figure che albergano all’interno dell’animo, sovvertire gli ordini, soverchiare nuovi universi e ribellarsi cosi, in modo sfacciato alle leggi che ci governano da sempre. E in questo percorso verso la meta invisibile si copia ciò che esiste, si raffigura una emozione ferma, congelata nel tempo. Ma ciò che si trova nelle opere di Andrea Roggi e forse qualcosa di più, in esse c’e la pulsione di una energia interiore che esplode fino a penetrare libera la stessa luce, illuminare l’aria.
Come ballerini che nel massimo del loro sforzo danzano e si librano nell’aria fino a perdere peso e a confondersi con il cielo, cosi le figure di questo giovane artista di Castiglion Fiorentino, sembrano opporsi con naturalezza ai forti richiami della terra. Ogni figura di Roggi presenta delle trasgressioni. Come spiegare se no quelle geometrie che trasfigurano fino a renderlo perfino più bello il volto gia perfettamente armonico e morbido di donna? Come interpretare se ‘no quelle acconciature che portano i capelli a bucare l’aria, o quel bronzo bellissimo che lui chiama ”Sogno” e che ci mostra una porzione di corpo femminile che ha quasi il potere di straziare i sensi dell’osservatore. Se non fossero quei segni, quelle tracce di dita cosi volutamente visibili, ma anche cosi rassicuranti, che vogliono ricordare a chi guarda che la vita è altrove e che quello che hanno di fronte è solo la fantasia che si è fatta corpo.
Travertino che diventa fertile paesaggio. Tubi cromati che si intersecano con la pietra e il bronzo, figure che si fondono in un fertile tentativo di volare nell’onirico. (…): Da non perdere soprattutto per capire nelle sue opere più belle il suo messaggio più profondo e malvolentieri confessato a voce: ”Sto solo cercando di sfuggire a questo destino”.
Andrea Roggi è uno scultore. Definizione problematica per il nostro tempo, dove la terza dimensione artistica si è allargata ben oltre i canoni e le tecniche classiche. Andrea ha costruito un proprio linguaggio all’interno della tradizionale tecnica scultorea, esplorando e scegliendo i materiali in funzione del tema. Per meglio aderire al proprio intento ha voluto rendersi artefice totale delle sue creazioni: è lui, infatti, che progetta, scolpisce, fonde ogni opera.
In questo modo ha stabilito uno stretto legame tra il soggetto e la materia di cui è fatto. Vediamo cosi il bronzo collegato, anzi letteralmente fuso, con l’immagine umana, mentre terracotta, marmo, gesso o altre pietre si adoperano per visualizzare sogni e pensieri. Questo continuo flusso, a cominciare dall’idea fino all’opera finita, rafforza enormemente l’impatto visivo e spinge l’osservatore a fermarsi, a girare intorno a chiedersi. La funzione straniante e comunicativa dell’arte e cosi ben figurata.
Ma lo scultore non si ferma qui, sulla soglia dell’immagine, vuole lasciare un messaggio, visualizzare aspetti del vissuto alla ricerca dei principi che lo regolano e gli danno senso. E in quest’ottica che nascono le sfere, ciascuna raffigurante un aspetto della vita dell’uomo: nascita, incontro amore, dolore ecc…. Sfera e cerchio sono da sempre simboli forti, pur con significati diversi all’interno di differenti culture, e nell’accezione di energia vitale accompagnano tutta la produzione di Roggi. Da qui, da questa circolarità onnipresente, il titolo della mostra.
Le piccole sfere, dorate e non, presenti in tutte le opere dello scultore sfuggono alla semplice necessita di filo conduttore visivo; raffigurano invece l’energia e la forza del pensiero umano, capace di trasformare la materia, di farla esistere alla luce di altre e più profonde valenze. Si trovano pertanto in soggetti antropomorfici, vedi Primavera, ma anche in rappresentazioni naturalistiche, vedi Cipresso, per indicare il processo di trasformazione del paesaggio. In ogni caso, l’intento primario e quello di simboleggiare la capacita creatrice dell’uomo. Questi, con tutte le sue possibilità vitali, e innegabilmente il centro dell’esperienza artistica dello scultore.
Ciò non vuol dire che la rappresentazione si esaurisca sulla soglia del figurativo o del verosimile, anzi, vuole abbracciare sempre più ad ampio raggio i vari aspetti del reale. Di quel reale che, ovviamente, comprende tutte le manifestazioni connesse all’esistenza umana, sogni e affini compresi. E per questo motivo che il linguaggio dell’artista, o per usare un termine più appropriato, lo stile, subisce con il passare del tempo una sorta di spoliazione delle notazioni realistiche di superficie.
Le ultime creazioni, Acqua o il Cerchio della vita ad esempio, mostrano una semplificazione formale, insieme ad una sublimazione concettuale dei temi prediletti. Mi sembra questa la via di quel processo decantatorio della materia che testimonia la crescita continua della ricerca di un artista. In altre parole: i concetti che lo scultore vuole esprimere si fanno nel corso del tempo più chiari ed essenziali alla sua mente, e nello stesso tempo, la forma artistica a loro collegata si modella di conseguenza. Perciò l’evoluzione artistica di Roggi si contempla non in una prospettiva cronologica, ma in una dialettica sincronica tra idea e rappresentazione. E questo e da sempre il nodo cruciale con il quale si misura chi fa arte: piegare la materia ai propri intenti, riducendo sempre più lo scarto tra i due termini.
Se anche la quadratura del cerchio non e possibile in tal senso, sicuramente la fatica spesa genera energia vitale, significato e nei casi più felici, dove lo scarto si fa minimo, bellezza. L’intenzione dell’artista, dice Roggi, una volta ultimata l’opera, svela solo parzialmente il concetto che questa vuole esprimere. L’opera d’arte e infatti in grado di raccontare molte più cose di quelle presenti nella coscienza dell’artefice al momento della realizzazione.
E per questa sua capacita narrativa, oltre che visionaria, che il fare arte di Andrea Roggi rientra in quella categoria, bistrattata ma mai fortunatamente perduta, di un’arte con fini etici. Un’arte in continuo movimento, che non si arrende al vuoto di pensiero, che non teme d’indagare il piano immateriale della vita umana, ma che si adopera nella ricerca di significati. Cosi se la vita non è quella che sembra, dato che molti piani del reale vi s’intersecano, si può ricorrere per meglio comprenderla anche ai sogni. Questi, che sono una parte essenziale della nostra esistenza, espressione di quanto da svegli non riusciamo a vedere, si materializzano in strutture ariose e dai molteplici punti di vista. Fiori di sogni allora, per non accontentarsi di un banale vivere.
ANDRE ROGGI E MARTIN KATZ
ENERGIA DELLA VITA FIRENZE





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Il monumento a Santa Margherita da Cortona dell’artista Andrea Roggi, eretto nel sagrato della chiesa di S. Marco in Villa, si inserisce con forza nel panorama dei tesori artistici di Cortona e dell’Arte Italiana sia per tecnica di realizzazione sia per interpretazione artistica della spiritualità margaritiana.
In primo luogo va considerato che si tratta dell’unica statua in bronzo di questa mole: della Santa ad altezza naturale abbiamo solo quella in marmo, a tutti nota, posta nella piazza della Cattedrale di Cortona, ed altre lignee o di gesso.
Inoltre bisogna sottolineare, e questo è più importante, che, mentre le altre statue sono di fattura manieristica e devozionale, cioè sono una specie, per così dire, del ritratto della Santa, quella di Andrea Roggi, pur conservando le caratteristiche iconografiche tradizionali (l’abito quadrettato, il famoso “taccolino”, ripreso dalla prima immagine pittorica che abbiamo della Santa, e il cagnolino), è il risultato di una sua personale interpretazione, frutto di una passione e di una sensibilità che, avvalendosi di un’eccezionale capacità tecnica, è riuscita a cogliere e a rappresentare artisticamente la spiritualità di Margherita.
A questo scopo lo scultore si è avvalso da un lato di particolari di per sé abbastanza evidenti: si pensi alla dinamica che esprime la massa del corpo librato verso il Cielo, con i lembi del saio nella parte posteriore affinati nel volo dalla forza del vento, un afflato mistico che viene amplificato dalla posizione mossa dei piedi, nudi, per significare la volontà di mondarsi da tutto quanto, anche l’oggetto più semplice quale potrebbe essere un paio di umili calzari, può rappresentare un legame con la materia terrena, nonché dalle braccia aperte in segno di totale desiderio di compenetrazione nel Dio della Croce, quella Croce che come una ferita, una ferita di pentimento e di espiazione, in significativa evidenza è rappresentata nel suo petto.
Ma il monumento non si limita alla parte bronzea del corpo della Santa e del suo cagnolino, no, si innesta, diventandone parte integrante, sulle figure geometriche di pietra del basamento su cui si erge la scultura, che offrono una lettura meno palese, perché fortemente simbolica, ma non meno significativa, senza le quali la comprensione dell’opera sarebbe del tutto parziale. E queste figure possono essere interpretate in una duplicità di registro: una, se vogliamo, di carattere più circoscritto e inerente alla vicenda biografica della Santa, l’altra a carattere più ampio, di portata universale, senza la quale non si ha vera Arte.
Così il Triangolo alla base del monumento può riportarci con facilità a ricordare i tre luoghi sui quali Margherita ha operato, geograficamente ben individuati e sapientemente espressi dalla superficie ondulata e incisa, quasi a ritrarre realisticamente la natura collinare del territorio su cui Margherita è vissuta: Laviano, Montepulciano, Cortona. Ma possiamo, anzi, dobbiamo leggere con più attenzione, trascendere il sensibile, ed allora si deve osservare che il triangolo è la prima figura piana, la più semplice, perché si costruisce con il minimo di rette; nel nostro caso poi un triangolo equilatero, la forma più perfetta fra i triangoli. E il tri-angolo si sostanzia del mistico numero tre: la triplice natura dell’universo: cielo, terra, uomo; padre, madre, figlio; cristianamente, la Trinità e l’uguaglianza delle tre persone: Padre, Figlio, Spirito Santo.
E su questo fondamento si posa il Cubo, la rappresentazione simbolica della stabilità.
Non è difficile allora pensare all’agiatezza, alla solidità economica del periodo vissuto felicemente da Margherita con il proprio amato, ma il cubo è anche la rappresentazione tangibile della perfezione statica, e quindi della Verità, poiché da qualsiasi prospettiva lo si guardi, non cambia.
Nella Trinità la Verità.
E su questa Verità stabile si poggia la Sfera, che offre un facile richiamo all’intimità interiore di Margherita nell’ultimo periodo di penitenza e di purificazione, ma il cui significato si amplia per identificarsi simbolicamente con la volta del cielo, il mondo, i corpi celesti, il sole, la forma primordiale contenente le possibilità di tutte le altre forme, il movimento ciclico che non ha principio né fine, l’abolizione del tempo e dello spazio: l’eternità. Trinità, Verità, Eternità.
di liletta fornasari
Nuova, sebbene realizzata nel rispetto di un linguaggio scultoreo impostato su criteri tecnici tradizionali e su forme finite, è l’interpretazione che della figura di San Donato ha realizzato Andrea Roggi, creando un’immagine fedele al figurativo, ma iconograficamente insolita e capace di simboleggiare episodi significativi della vita del santo martire, senza cadere però nella ripetizione di “topoi” più volte replicati. La monumentale scultura, composta da due parti distinte, una in pietra, l’altra in bronzo, presenta San Donato che, appena coperto da una semplice e povera tunica, è in atto di sollevare verso l’alto il calice, simbolo della cristianità per la quale, secondo la tradizione, il patrono aretino ha subito il martirio il 7 agosto del 362 d.C.. Il calice rimanda ad uno degli episodi principali della vita del santo vescovo aretino. Durante una celebrazione eucaristica, mentre si svolgeva il rito della Comunione e il suo diacono Antimo stava distribuendo il vino consacrato ai fedeli con un calice di vetro, i pagani fecero un’improvvisa irruzione gettando in terra il calice, che andò in frantumi. San Donato, dopo avere pregato intensamente, raccolse tutti i frammenti di vetro ricomponendo il vaso. Sebbene mancasse una grossa parte nel fondo del calice, rubata dal demonio stesso, la suppellettile sacra continuava a svolgere la sua funzione, senza fare disperdere il liquido. Il fatto determinò la conversione di settantanove pagani presenti.
La celebrazione del miracolo è il fulcro dell’immagine scolpita da Roggi, che nell’oro del calice concretizza visivamente la forza divina, verso la quale il santo si rivolge supplicante. Non mancano riferimenti al tassello mancante della coppa, in basso forata, e al liquido in essa contenuta, materialmente simboleggiato dalla sfera rossastra. La sfera, che da tempo è un elemento costante della scultura di Roggi, è qui interpretata anche come simbolo della salvezza operata dal martirio del santo stesso, morto, come Cristo, per salvare gli altri e per la diffusione della Parola. Il gesto solenne compiuto dall’immagine umana che, perfettamente plasmata nel bronzo fuso, è incentrata sull’interesse per la realtà oggettiva dell’uomo, tema fondante dell’arte di Roggi, evoca un insieme di significati assoluti. Sebbene connessi alla figura di San Donato, questi assumono quindi un valore di grande rilievo morale, nell’intento di documentare anche uno spaccato di storia cittadina e nel rispetto del legame tra il soggetto e la materia. La paganità di Arezzo, dove San Donato, nativo di Nicomedia, si impegnò nella predicazione e nella conversione di molti, è emblemata nell’immagine della celebre versione scultorea della Minerva, che appena delineata nel bronzo, si intravede nel retro, dando l’idea di scomparire dentro la massa corporea del santo. Alla cristianità della città rimanda la pietra della base, nella quale, oltre al riferimento diretto alla valenza evangelica della pietra stessa, si riconosce la sagoma della pieve aretina, simbolo di una riconosciuta e radicata diffusione del culto cristiano.
Nel fluire del tempo, la scultura di Andrea Roggi si distilla in una sinfonia di forme rarefatte e materia antica, in cui il bronzo e il travertino si spogliano del loro peso terreno per farsi elementi cosmici. Le sue figure umane, slanciate e trasfigurate, diventano icone del divenire, simboli di una meditazione silenziosa sull’essere e sull’universo. In esse, la tradizione della fusione a cera persa si fonde con l’urgenza contemporanea di raccontare la vita come circolarità, come incontro e dissoluzione. Le sue opere si fanno danze sospese, fiori di sogno, frammenti di eternità, mentre il confine tra il reale e l’onirico si dissolve in un lirismo che sfugge a ogni didascalia.
Roggi non rappresenta: evoca. Non descrive: suggerisce. Così ogni sua scultura è una soglia, una vibrazione interiore che penetra nel subconscio, come le musiche rarefatte di Fauré o le composizioni astrali di Lieti, capaci di toccare corde intime, invisibili, universali.
Il mondo che Roggi scolpisce è un cosmo vivo, in cui ogni forma è energia che si aggrega e si disperde, un centro solare che pulsa al ritmo del mistero. Nei suoi cerchi danzanti, nell’ombra traforata che abita il bronzo, nella luce sacra che ne emana, si compie l’eterno abbraccio tra terra e cielo, tra materia e spirito.
L’Olivo, albero antico e biblico, si trasfigura in corpi umani che ascendono, in un rito di metamorfosi in cui le radici si fanno braccia, e la corteccia si apre come icona d’oro, rivelando l’anima divina dell’essere. La Campana traforata, la Sfera della Vita, il Cristo Risorto sono archetipi viventi, soglie tra dimensioni, figure-simbolo che narrano la riconciliazione tra l’uomo e il divino.
Ogni figura si tende verso l’alto, nel tentativo di sfiorare l’ineffabile. La Resurrezione diventa Big Bang spirituale, l’anima si fa bronzo che danza nella luce, la forma si dissolve in trama eterea. L’artista toscano plasma visioni, non oggetti: ogni scultura è un mondo.
La poetica di Andrea Roggi è un atto di fede nella forma, intesa non come superficie ma come manifestazione dell’invisibile. Le sue opere, sin dagli esordi, rivelano un’anima profondamente radicata nella spiritualità contadina e cristiana, ma capace di elevarsi a una dimensione universale, etica, filosofica. Il bronzo, la resina, il travertino diventano linguaggi simbolici, strumenti di una fantasia demiurgica che reinventa la realtà e le dona nuovo respiro.
Nel suo percorso, Roggi esplora le infinite possibilità della forma, chiusa in reticoli euclidei o sciolta in arabeschi cosmici, sempre guidata da una forza interiore che tende a espandersi, a conquistare lo spazio come un soffio vitale. Le sue sculture sono archetipi incarnati, idee che prendono corpo, metafore tangibili del destino umano, della sua eterna ricerca di significato.
Come in Lucrezio, la materia non si crea né si distrugge, ma si trasforma. E nel bronzo che respira, si apre, si eleva, batte il cuore di un’umanità in viaggio, fragile e potente, che nel turbine del Cosmo trova la sua voce più autentica: la voce della bellezza.